Rifugio “G. Graffer” al Grostè
In collaborazione con Arch. Alex Bunea
Tipologia: Concorso di Progettazione
Anno: 2024
Incarico : Preliminare
Committente: S.A.T. Società Alpinisti Tridentini
”Un tributo alla Pietra Grande ed alla Cresta dell’Oreste”
Le Dolomiti di Brenta, luogo di grande complessità morfologica, ricchezza di asperità e indomabile bellezza.
Il rifugio, situato nel cuore delle Dolomiti di Brenta, all’interno del comprensorio sciistico di Madonna di Campiglio, rappresenta da sempre un punto di riferimento per chi frequenta questa zona della montagna trentina.
Affrontare un contesto come quello del gruppo dolomitico patrimonio dell’umanità, pone l’uomo dinnanzi a temi quali il confronto tra la nostra presenza debole ed effimera rispetto alla potenza maestosa della natura e dell’evoluzione tettonica che questi luoghi hanno subito nel corso delle ere geologiche.
L’osservazione dei crudi massicci di roccia sedimentaria e delle relazioni che si instaurano tra le radure boschive di fondo valle ed il cielo, lascia spazio a riflessioni introspettive dove ritroviamo il piacere di rallentare fino a fermarci e godere dell’immensità del panorama. E’ qui che trova la necessità di uno spazio che permetta la sosta, il riposo e la riflessione.
Viene da pensare che fu questo il motivo che spinse gli alpinisti e compagni di scalata di Giorgio Graffer ad edificare il rifugio in questo luogo, rendendo così omaggio al loro compianto amico e lasciandone la memoria in un luogo così alto, al cospetto dei ripidi pendii della Pietra Grande
La genesi del progetto deriva da una lettura dei luoghi affrontata su diversi temi e scale, a partire da una scala territoriale atta alla comprensione del gruppo dolomitico, fino alla scala di dettaglio, toccando parallelamente gli aspetti materici e legati alla percezione degli spazi.
L’imponente presenza della Pietra Grande e della Cresta dell’Oreste alle spalle del Rifugio Graffer, sono state da subito oggetto di studio e di riflessioni sui temi formali che caratterizzano questi elementi orografici. Si può infatti dire che questo massiccio dolomitico faccia da quinta al rifugio, incombendo su di esso con i suoi ripidi pendii fatti di cenge e ghiaioni, ma al contempo proteggendolo dalle correnti gelide di tramontana.
Entrambi questi aspetti di relazione spaziale tra ambiente e costruito, unitamente alla singolare conformazione longitudinale della cresta, hanno condotto lo studio del nuovo volume annesso al rifugio verso la ricerca di un’analogia formale che restituisse l’immagine del contesto di inserimento, diventando così esso stesso una parte di montagna, una cresta dove il dinamismo della scalata lascia spazio alla staticità del riposo e dell’abitare.
La cresta sviluppata longitudinalmente sull’asse Nord–Sud ha dato origine all’allineamento ed alla proporzione del nuovo volume architettonico, che sarà posto ortogonalmente all’edificio esistente, al quale si relazionerà tramite un solo punto di contatto.
Questo elemento lineare, in giustapposizione alla forma più tozza del rifugio esistente, andrà a definire un nuovo spazio di relazione sul fronte del rifugio, proteggendolo e ricalcando allascala architettonica la funzione che il massiccio di dolomia adempie alla scala territoriale.
La sezione del nuovo ampliamento è anch’essa ricavata dall’elemento naturale predominante, andando ad interpretare la forma delle guglie e dei campanili di roccia che compongono tutto l’arco delle Dolomiti di Brenta ed in particolare il gruppo di vette direttamente adiacente.
Il nuovo elemento sarà così conformato da una stecca realizzata con sistema strutturale in legno, poi rivestito da una pelle di materiale cangiante, configurata come un guscio metallico, altero, astratto nella sua materialità, evidente e riconoscibile sia d’estate sia d’inverno con la sua mutevole pelle che si vestirà dei colori dell’ambiente e regalerà sempre nuovi spunti per comprendere la relazione tra il costruito e l’ambiente naturale.
All’interno di esso troveranno spazio tutte le funzioni necessarie all’esercizio del rifugio, unitamente al nuovo corpo scala, unico elemento di giunzione tra la vecchia architettura e la nuova, configurato come una torre in calcestruzzo sabbiato, dove gli inerti esposti paleseranno la relazione tra quello che nell’immaginario comune identifica l’elemento più antropico, il calcestruzzo appunto, rispetto agli elementi naturali dei ghiaioni presenti alle spalle del luogo d’intervento.
L’elemento di giunzione diventa così mediatore del lessico architettonico ed organizza gli spazi, collegandoli con un sistema protetto di passaggi coperti ed aperture selezionate, atte ad inquadrare scorci di natura selvaggia.
L’interno del rifugio, secondo la logica percettiva di accoglienza dello spazio abitativo, sarà configurato come uno spazio monomaterico in cui la struttura lignea delle grandi pareti realizzate in legno di abete con tecnologia x-lam si paleserà con grande pulizia e renderà l’interno luminoso, semplice, profumato e caldo.
L’esterno invece sarà rivestito di un metallo cangiante, con un involucro realizzato con lamiera di alluminio che muterà la sua percezione di pari passo al variare della luce diurna e l’alternarsi delle stagioni, restituendo immagini e sensazioni sempre diverse in base al punto di osservazione.
Questa scelta permetterà anche di accentuare la differenza di atmosfera con l’interno caldo in legno e costituirà l’ennesimo tributo alla semplicità e razionalità funzionale delle buone costruzioni di alta montagna.
All’esterno infatti non troverà spazio nessun fregio o elemento decorativo applicato, ma troveremo solo una resistente pelle metallica scandita in grandi elementi regolari quasi a ricordare la stereotomia dei grandi conci in pietra che compongo l’architettura vernacolare alpina. Questo abito così formato, con la sua riflettenza sarà materia inattesa, schietta e durevole, in rispettosa relazione della bellezza del paesaggio.